Il Santo Graal

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  1. Alpeincantata
     
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    La leggenda del Santo Graal ha sempre avuto un grande fascino. “Il fatto che da otto secoli il Santo Graal continui a stimolare l’immaginazione di tante generazioni di lettori – diversi per cultura ed estrazione sociale – costituisce in un certo senso la prova tangibile del suo magico potere” scriveva Alfredo Castelli nel suo Dizionario dei misteri. Dal XII secolo, infatti, l’oggetto chiamato “Graal” ha coinvolto milioni di persone in un dibattito che continua tutt’oggi.

    Secondo alcuni sarebbe un oggetto che fonderebbe le sue origini nella mitologia pagana celtica o islamica. Molti altri, invece, sostengono che si tratti del Calice in cui Gesù Cristo istituì l’Eucarestia durante l’Ultima Cena; nel suo interno, il giorno successivo, Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il Sangue di Cristo, dopo averlo calato dalla croce. Il termine Graal deriva dal latino Gradalis, con cui si designa una scutella lata et aliquantulum prufunda (Helimand de Froidmont): una tazza, un vaso, un calice, un catino. Questi umili oggetti rivestono nella mitologia un nobile ruolo: sono infatti i simboli del grembo fecondo della Grande Madre, la Terra, e, come l’inesauribile Cornucopia dei Greci e dei Romani, portano vita e abbondanza. La coppa della vita dei Celti è il “Calderone di Dagda”, portato nel mondo materiale dai Tuatha De Danaan rappresentanti ultraterreni del “piccolo popolo”. Molti eroi celtici (tra cui Asterix, il famoso personaggio dei fumetti) hanno avuto a che fare con magici calderoni; nel poema gaelico Preiddu Annwn Re Artù andò a recuperarne uno addirittura negli Inferi. La tradizione cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il Calice dell’Eucarestia e – sorprendentemente – la Vergine Maria. Nella Litania di Loreto essa è descritta come Vas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis, ovvero “vaso spirituale, vaso dell’onore, vaso unico di devozione”: nel grembo (vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta manifesta. Forse, quando alla fine del XII secolo, Chretien de Troyes decise di introdurre nella materia arturiana il motivo del “Vaso Sacro “, lo fece perché era al corrente dei miti celtici del Calderone, e l’argomento gli sembrò particolarmente in tema; o forse si trattò di una scelta casuale. Forse esisteva già una tradizione orale sul Graal, e Chretien si limitò a metterla per iscritto; forse (è l’ipotesi più probabile) elaborò in termini cristiani le antiche leggende sui contenitori sacri, o forse il Graal fu una sua geniale invenzione. Sta di fatto che – com’è accaduto per Re Artù – da otto secoli il Graal continua a stimolare l’immaginazione di generazioni di lettori: e questa, in un certo senso, è la prova tangibile del suo magico potere. Continua a leggere nel blog di Alpeincantata.com.

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